Làsciti
«Alcuni anni fa, uno dei clienti più affezionati, un uomo di grande cultura a cui teniamo molto, ci ha commissionato la riproduzione, la più fedele possibile, di un modello degli anni Cinquanta presente nel nostro museo. Si tratta del “Soldato napoleonico”, un busto di 41 centimetri di altezza raffigurante un ufficiale degli Ussari in alta uniforme: un pezzo particolarissimo e riccamente decorato. Saremmo stati all’altezza dei nostri predecessori, del calcatore e del decoratore che operavano, utilizzando argilla e colori ora introvabili, ormai settant’anni fa? Era una piccola sfida che ci diede una certa eccitazione.
Consulto il vecchio registro degli stampi, rintraccio l’Ussaro, sotto la denominazione di “generale” al numero 278. Lo ricerco tra gli scaffali nel locale sotterraneo e lo affido alle mani sapienti di Luciano che, il modello antico davanti agli occhi, lo esegue con la consueta perizia. Dopo un’accurata essiccazione lo diamo alle fiamme per la prima cottura. Devo ora decorarlo confrontandomi con lo stile ed i colori usati da un valente decoratore (probabilmente Renzo Re) tanti anni prima. Le tinte sono: carnacino per il viso, nero per il colbacco, giallo e ocra per i baffi e le decorazioni, bianco e ceruleo per occhi e corpetto. Sin qui nessun problema. Le difficoltà sorgono per le spalline ed il pennacchio, di un cinabro particolare, un magenta scuro che non conosco.
Prima di procedere con la decorazione del pezzo è necessario fare delle prove. Miscelo i colori e li stendo su alcuni cocci: il risultato è insufficiente, temo di non riuscire. A questo punto ho un’ispirazione: vado a frugare nell’armadietto di un verde scrostato che usava Renzo. Tra spolveri di iniziali, vecchi pennelli, barattoli di lustri ormai rappresi, spunta un piccolo sacchetto di carta azzurrina. Su di esso era la scritta a matita: “rosso per Ussaro”. Usai quel colore. Il risultato fu perfetto. L’importante cliente fu pienamente soddisfatto e noi fummo legittimamente orgogliosi.
Questo episodio, di per sé molto banale, mi ha fatto capire, o meglio, mi ha confermato, alcune cose che forse tanto banali non sono. Negli anni Cinquanta un mio predecessore aveva dovuto affrontare il problema della tinta del pennacchio, probabilmente ha effettuato diverse prove, mescolato svariati colori. Una volta giunto brillantemente alla soluzione, ha ritenuto importante conservare un po’ di quella miscela a beneficio di coloro che sarebbero venuti dopo di lui. Io l’ho considerato un lascito, non solo nei miei confronti, ma in generale a favore della continuazione e della crescita della manifattura. Manifattura che è nata, si è sviluppata ed ancora oggi vive grazie ad un susseguirsi di lasciti dei quali dobbiamo essere grati ad ogni persona che vi ha lavorato. Ognuno di essi ha contribuito, secondo la propria indole e le proprie capacità, all’esistenza, alla determinazione dello stile, alle caratteristiche peculiari ed ai non pochi successi della Ceramica del Ferlaro, fabbrica artigiana somma di tanti anni e di tante individualità presenti e passate. Di questi lasciti sentiamo oggi la piena responsabilità: essa ci impone amore, dedizione, perseveranza, attenzione al passato e fiducia nel futuro. Un lavoro accurato e costante che ci consenta di mantenere viva questa splendida realtà e di poter trasmettere, a nostra volta, dei lasciti a chi verrà dopo di noi».
Umberto Alinovi